Noi non facciamo festa solo quando le cose vanno bene, il cristiano non fa festa solo per il compleanno o la promozione agli esami. Il cristiano fa festa perché riconosce nei santi dei modelli di vita buona, di vita vera, di vita da imitare, anche nelle prove della vita.
Perché Rita è santa? Giovanni Paolo II rispondendo a questa domanda in una sua lettera inviata a Cascia per un anniversario della santa scriveva: “Non tanto per la fama dei prodigi che la devozione popolare attribuisce all’efficacia della sua intercessione presso Dio onnipotente, quanto per la stupefacente “normalità” dell’esistenza quotidiana, da lei vissuta prima come sposa e madre, poi come vedova e infine come monaca agostiniana”.
Ricordiamo in questa domenica la Festa della Mamma. Ecco, ogni mamma con il suo carico e investimento d’amore per i figli genera in loro a sua volta una capacità di amare, di risplendere nel mondo. Diciamo oggi dunque anche la nostra riconoscenza alle mamme per il dono che sono o che sono state per noi e continuiamo a invocare la madre di tutti, Maria, perché sappiamo sentirci suoi figli amati.
Unendoci alla famiglia del Cottolengo anche noi diciamo: Deo Gratias. Grazie don Franceschino per la tua testimonianza di vita che ancora è viva e fresca.
Nella Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni l’immagine del buon Pastore può diventare quella del buon medico, che si prende cura, che si dona a rischio anche della sua vita.
Le domeniche che seguono la celebrazione della Pasqua vogliono aiutarci, nell’intenzione della liturgia, a interiorizzare questo mistero, il più grande della nostra fede, a permettere che la ricchezza dei misteri celebrati nel Triduo Pasquale trovi accoglienza nel nostro cuore e conversione di vita.
Chiusi come siamo nelle nostre case, vogliamo come i discepoli allora accogliere nelle nostre famiglie e soprattutto nel nostro cuore la presenza di Gesù risorto perché porti quella novità di vita che è innanzitutto il suo essere con noi, il suo stare in mezzo a noi.
Anche se quest’anno la Pasqua è vissuta più in casa che in chiesa, anche se quest’anno a Pasqua forse sentiremo suonare ancora le sirene delle ambulanze, non possiamo tacere il mistero più grande della nostra fede: Dio non ha lasciato in potere della morte suo figlio Gesù, ma l’ha risuscitato.
Qualcuno potrebbe darci dei matti, ascoltando le parole, le preghiere della nostra Messa di Pasqua. Abbiamo ripetuto al salmo responsoriale: Questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci ed esultiamo! E uno giustamente potrebbe dire: “Come si fa a esultare, a rallegrarci in tempo di epidemia, di contagi, di morti?”.
Celebrare la liturgia della passione e della morte di Gesù in tempo di epidemia nel quale ci troviamo, assume un significato ancora più forte e ci fa immergere in una maniera tutta particolare nel dramma della crocifissione del Figlio di Dio.
Quest’anno, anche se fisicamente non siamo qui tutti in chiesa santi Pietro e Paolo, ci vogliamo comunque sentire un popolo che, in forza dello spirito e grazie ai mezzi per arrivare nelle case, si raduna e siede alla mensa dell’Ultima Cena.
Non possiamo cadere nella rassegnazione occorre saper reagire e allora, accanto alle altre definizioni, parlerei di questo tempo anche come tempo rallentato.
Oggi accanto ai tanti letti dei malati in ospedale, come Marta e Maria chiediamo che Gesù venga, che porti consolazione, che tenga la mano ai malati, che doni forza e speranza e che accompagni al trapasso.
In questo momento di privazioni ci è chiesto allora un di più di ascolto, un esercizio superiore di affinamento della capacità di ascoltare la Parola di Dio, la voce di Dio. Di farla diventare nostra e viverla nella quotidianità anche dei ristretti spazi famigliari.
quest’anno cade in un tempo di prova, non solo per noi ma per il mondo intero. E allora il titolo di S. Giuseppe, quello di custode e di protettore della S. Famiglia vorremmo estenderlo e invocarlo a custode e protettore del mondo intero, dell’umanità.
La situazione di emergenza legata all’epidemia in corso ha fatto giustamente prendere delle misure per evitare il più possibile il propagarsi del contagio e la misura più importante insiste sul verbo rimanere. Rimanere a casa. Restare tra le proprie mura di casa.
Anche questa domenica non ci è consentito radunarci in assemblea a partecipare all’eucaristia ma vogliamo comunque tenere vivo il nostro legame personale con Dio, con Gesù e il suo Spirito, grazie anche ai mezzi moderni di comunicazione di cui possiamo avvalerci.
L’emergenza sanitaria di questi i giorni ci sta facendo compiere una serie di digiuni, tra cui anche il digiuno eucaristico per i fedeli. Sarebbe davvero un dono se al termine di questo forzato digiuno, sentissimo la fame, la fame di Dio, fame della sua Parola, fame della sua presenza reale nell'eucaristia, un desiderio rinnovato di partecipare al suo banchetto dove nutrire la nostra vita.
Fa un certo effetto leggere dal nostro Arcivescovo nella Lettera pastorale queste parole: “Il tempo che segue al Natale può essere propizio per proporre qualche settimana in cui non fare niente, se non crescere in sapienza, in età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.